Da quel grande pericolo corso ricavarono solo un mediocre piacere: poche pagine inintelligibili sui peccati dei giovanetti furono ciò ch'esse trovarono di «più interessante».
Giocavano in un viale del giardino, fiancheggiato da pochi magri alberi da frutta e, malgrado l'estrema sorveglianza e la severità delle punizioni, quando il vento aveva scosso i rami, riuscivano talvolta a raccogliere furtivamente una mela acerba, o un'albicocca guasta, o una pera abitata. Ora lascio parlare una lettera che ho sotto gli occhi, scritta venticinque anni or sono da un'antica collegiale, oggi duchessa di ***, una delle donne più eleganti di Parigi; cito testualmente: «Si nasconde la pera o la mela come si può. Quando si sale a deporre sul letto il velo, in attesa della cena, si ficcano sotto il guanciale, e alla sera si mangiano a letto o, se non si può, si mangiano nel luogo comodo.» Quest'era una delle loro voluttà più vive.
Una volta ancora in occasione d'una visita di monsignor arcivescovo al convento, una delle giovanette, la signorina de Bouchard, imparentata coi Montmorency, scommise che gli avrebbe chiesto un giorno di vacanza; cosa enorme, in una comunità tanto austera. La scommessa fu accettata, ma nessuna di coloro che l'avevano accettata vi credeva. Giunto il momento, mentre l'arcivescovo passava davanti alle collegiali, la signorina de Bouchard, fra l'indescrivibile sgomento delle compagne, uscì dalle file e chiese: «Un giorno di vacanza, monsignore!» La signorina de Bouchard era grande e freschissima, col più grazioso musetto rosa del mondo; il signor di Quélen sorrise e disse: «Ma come, mia cara bambina, un giorno di vacanza?
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