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      Anche tre, se vi fa piacere; vi accordo tre giorni.» La superiora non poteva farci nulla, poiché l'arcivescovo aveva parlato: scandalo per il convento, ma gioia per il collegio. S'immagini l'effetto.
      Pure, quel burbero chiostro non era tanto ben murato che la vita delle passioni esteriori non vi potesse penetrare, col dramma e magari col romanzo. Per dimostrarlo, ci limiteremo a constatare e ad indicare qui brevemente un fatto reale ed incontestabile, che non ha del resto il minimo rapporto e non si rannoda menomamente alla storia che stiamo narrando; lo citiamo per completare nella mente del lettore la fisionomia del convento.
      Verso quell'epoca, dunque, vi era nel convento una persona misteriosa che non era suora, che veniva trattata con grande rispetto e si chiamava la signora Albertina. Non si sapeva nulla di lei, se non ch'era pazza e che nel mondo passava per morta. Sotto quella faccenda, si diceva, vi era una storia di ripartizione di beni di fortuna, resa necessaria da un gran matrimonio.
      Quella donna, appena trentenne, bruna, e piuttosto bella, guardava vagamente cogli occhioni neri. Ci vedeva? C'era da dubitarne. Sfiorava il suolo più che non camminasse, non parlava mai e non si era ben sicuri che respirasse; aveva le nari accostate e livide, come avesse esalato l'ultimo respiro. Toccarle la mano, era toccar la neve. Aveva una strana grazia spettrale: dove entrava, passava un brivido freddo, tanto che un giorno in cui una suora, vedendola passare, disse ad un'altra: «Costei è creduta morta,» l'altra rispose: «E forse lo è.»


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





Albertina