Si narravano mille storie sul conto della signora Albertina, eterna curiosità delle collegiali. Nella cappella una tribuna veniva chiamata l'Occhio di bue, e da quella tribuna, che aveva una sola apertura circolare, occhio di bue, la signora Albertina assisteva agli uffici; vi stava di solito sola, perché da quella tribuna, posta al primo piano, si poteva vedere il predicatore o il celebrante, cosa vietata alle suore. Un giorno, il pulpito era occupato da un giovane prete d'alto lignaggio, il duca di Rohan, pari di Francia, ufficiale dei moschettieri rossi nel 1815, quand'era principe di Léon, morto dopo il 1830, cardinale e arcivescovo di Besançon. Era la prima volta che monsignor di Rohan predicava al convento del Piccolo Picpus. La signora Albertina, di solito, assisteva ai sermoni e agli uffici in una calma profonda e in una perfetta immobilità; quel giorno, non appena scorse monsignor di Rohan, si drizzò per metà e disse ad alta voce, nel silenzio della cappella: To'! Augusto! Tutta la comunità, stupefatta, volse il capo e il predicatore alzò gli occhi; ma la signora Albertina era ricaduta nella sua immobilità. Un alito del mondo esteriore, un bagliore di vita era passato su quel viso spento e gelido, poi tutto era svanito e la pazza era ridivenuta cadavere.
      Pure, quelle due parole fecero cianciare tutti coloro che potevano parlare nel convento. Quante cose in quel To'! Augusto! quante rivelazioni; Monsignor di Rohan, infatti, si chiamava Augusto; era evidente che la signora Albertina proveniva dall'alta società, dal momento che conosceva monsignor di Rohan, che doveva avervi occupato lei stessa un posto eminente, dato che parlava così familiarmente d'un gran signore e che aveva con lui un legame, forse di parentela, ma senza dubbio intimo, poiché conosceva il suo nome di battesimo.