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      Fauchelevent aveva rallentato il passo e zoppicava, ancor più per l'ansia che per l'infermità.
      L'affossatore camminava davanti a lui.
      Fauchelevent fece ancor una volta l'esame dell'inatteso Gribier. Era uno di quegli uomini che, giovani, hanno l'aspetto vecchio e che, magri, sono fortissimi.
      «Camerata!» gridò Fauchelevent.
      L'uomo si voltò.
      «Io sono l'affossatore del convento.»
      «Mio collega,» disse l'uomo.
      Fauchelevent, illetterato, ma scaltrissimo, comprese che aveva da fare con una specie temibile, cioè con un parlatore forbito; e brontolò: «Dunque, papà Mestienne è morto.»
      L'uomo rispose:
      «Completamente. Il buon Dio ha consultato il suo libriccino di scadenze; toccava a papà Mestienne, e papà Mestienne è morto.»
      Fauchelevent ripeté macchinalmente:
      «Il buon Dio...»
      «Il buon Dio,» fece l'uomo, con autorità. «Per i filosofi, il Padre eterno; per i giacobini, l'Essere supremo.»
      «Non faremo conoscenza, dunque?» balbettò Fauchelevent.
      «È bell'e fatta. Voi siete contadino ed io sono parigino.»
      «Non ci si conosce fino a che non si ha bevuto insieme. Chi vuota il bicchiere vuota il cuore. Verrete a bere con me; è una cosa che non si rifiuta mai.»
      «Prima il lavoro.»
      Fauchelevent pensò: «Sono perduto!»
      Erano a pochi giri di ruota dal vialetto che conduceva al campo delle suore. L'affossatore riprese:
      «Ho sette marmocchi da mantenere, contadino. Siccome bisogna che mangino, bisogna ch'io non beva.»
      E aggiunse, colla soddisfazione d'una persona seria che lancia una frase:
      «La loro fame è nemica della mia sete.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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