Egli aveva sotto gli occhi la vetta sublime dell'abnegazione, la più alta cima possibile della virtù: l'innocenza che perdona agli uomini le loro colpe e le espia al loro posto; la servitù subìta, la tortura accettata, il supplizio richiesto dalle anime che non hanno peccato, per dispensarne le anime che hanno errato; l'amore dell'umanità che s'inabissa nell'amor di Dio, ma vi rimane distinto e supplichevole; dolci esseri deboli, che hanno la miseria di chi vien punito e il sorriso di chi vien ricompensato.
Ed egli si ricordava che aveva osato lamentarsi!
Spesso, nel cuor della notte, s'alzava per ascoltare il cantico riconoscente di quelle creature innocenti e oppresse dai rigori e si sentiva gelar le vene, pensando che coloro ch'eran castigati giustamente alzavan la voce verso il cielo solo per bestemmiare, e ch'egli stesso, miserabile, aveva mostrato il pugno a Dio.
Una cosa lo colpiva e lo faceva meditare profondamente, come un avviso dato a bassa voce dalla stessa provvidenza: la scalata, la rottura della clausola, l'avventura accettata fino alla morte, la difficile ed aspra ascensione, tutti quegli stessi sforzi ch'egli aveva fatto per uscire dall'altro luogo d'espiazione, li aveva ora fatti per entrare in questo. Era forse un simbolo del suo destino?
Anche quella casa era una prigione e assomigliava per la sua tristezza all'altra dimora da cui era fuggito, eppure egli non aveva mai avuto l'idea d'alcunché di simile. Rivedeva le inferriate, i catenacci e le sbarre di ferro; ma per custodire chi?
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Dio Dio
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