Pure, gli agenti della polizia vigilano e ne risulta una situazione altamente drammatica, che ha dato luogo una volta a un grido fraterno e memorabile, che fu celebre verso il 1830, ed è un avvertimento strategico da birichino a birichino; si scandisce come un verso d'Omero, con un accento quasi altrettanto inesprimibile di quello della melopea eleusiaca dei Panatenei, e vi si ritrova l'antico Evoè. Eccolo. «Ohe, Titì, ohee! C'è del catarro, c'è il birro, fa' su il fatto e va', va' per la fogna!»
Talvolta quel moscerino, così si qualifica da sè, sa leggere; talvolta sa scrivere, ma sa sempre scarabocchiare. Non esita a concedersi, per non so quale mutuo insegnamento, tutte le abilità che posson esser utili alla cosa pubblica! dal 1815 al 1830 imitava il grido del tacchino, dal 1830 al 1848 scombiccherava una pera sui muri. Una sera d'estate Luigi Filippo, rincasando a piedi, ne vide uno, piccolo piccolo, alto un soldo di cacio, che sudava e s'alzava a punta di piedi per disegnare col carbone una pera gigantesca su uno dei pilastri della cancellata di Neuilly; il re, con quella bonomia che aveva ereditata da Enrico IV, aiutò il birichino, finì la pera, e regalò un luigi al bimbo, dicendogli: Anche su questo v'è la pera.
Il birichino ama il chiasso e gli piace la vita movimentata: inoltre, esecra «i curati». Un giorno, in via dell'Università, uno di quei furfantelli faceva un palmo di naso davanti al portone del numero 69. «Perché fai quel gesto a quella porta?» chiese un passante; e il fanciullo rispose: «Ci sta un curato.
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