Ancor piccolino, aveva innaffiato i portici di San Giovanni di Beauvais e di Santo Stefano al Monte; aveva dato abbastanza del tu al sarcofago di Santa Genoveffa, per dare ordini all'ampolla di San Gennaro.
Il birichino di Parigi è rispettoso, ironico ed insolente; ha brutti denti perché è mal nutrito e soffre di stomaco, ed ha begli occhi perché ha spirito. Salterebbe a pie' pari gli scalini del paradiso, alla presenza di Jehovah. È forte al giuoco della ciabatta; gli è sempre possibile ingrandire. Gioca nel fosso e si rialza nei giorni di sommossa; la sua sfrontatezza persiste davanti alla mitraglia; era un monello, è un eroe; come il piccolo tebano, agita la pelle del leone. Il tamburino Bara era un birichino di Parigi: grida Avanti! come il cavallo della Scrittura dice Va'!; e, in un attimo, da marmocchio diventa gigante.
Questo figlio del pantano è pure il figlio dell'ideale. Misurate l'ampiezza d'ali che intercede fra Molière e Bara.
Insomma per riassumere tutto in una frase, il birichino è un essere che si diverte, perché è infelice.
X • «ECCE PARIS, ECCE HOMO»
Per riassumere ancora tutto, il birichino di Parigi oggi, come un tempo il grœculus di Roma, è il popolo fanciullo con in fronte la ruga del vecchio mondo.
Il birichino è una grazia per la nazione, e in pari tempo, una malattia: una malattia che bisogna guarire. Come? Colla luce.
La luce risana, la luce infiamma.
Tutte le generose irradiazioni sociali escono dalla scienza, dalle lettere, dalle arti e dall'insegnamento.
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