Dava agli uomini il nome della loro provincia: Nimese, Contese, Normanno, Piccardo. Il suo ultimo cameriere era un omone rattratto e asmatico; cinquantacinquenne, incapace di correre per venti passi; ma siccome era nato a Baiona, Gillenormand lo chiamava Basco. Quanto alle fantesche, in casa sua si chiamavano tutte Nicoletta (anche la Magnon, della quale sarà fatto cenno più avanti). Un giorno una cuoca abilissima, appartenente ad un'altra prosapia di portinai, si presentò. «Che stipendio mensile volete?» le chiese Gillenormand. «Trenta franchi.» «E come vi chiamate?» «Olimpia.» «Avrai cinquanta franchi e ti chiamerai Nicoletta.»
VI • IN CUI S'INTRAVEDONO LA MAGNON E I SUOI DUE FIGLIIn Gillenormand il dolore si traduceva in collera: era furioso d'essere disperato. Aveva tutti i pregiudizi e si prendeva tutte le licenze; una delle cose di cui componeva il suo lustro esteriore e la sua intima sodisfazione era, come abbiamo accennato testè, d'essere restato impenitente donnaiolo e di passare energicamente per tale. Chiamava ciò avere «una fama regale». La fama regale, però, gli procurava talvolta singolari fortune: un giorno, gli portarono a casa in un paniere, simile ad un corbello da ostriche, un neonato paffutello, che gridava come un ossesso, debitamente ravvolto nei pannilini, che una serva scacciata sei mesi prima gli attribuiva. Gillenormand aveva allora i suoi ottantaquattr'anni precisi. Indignazione e clamori tra i familiari: a chi sperava di darla da bere, quella baldracca sfrontata?
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