Or dunque, nei calzoni ricacciateIl lembo di camicia che ne pende,
Onde non s'abbia a dir che inalberiateO patrioti, la bandiera bianca.
Anche, ci si divertiva con giochi di parole che si credevan terribili, con doppi sensi innocentissimi, che si ritenevan velenosi, colle quartine, perfino coi distici; per esempio, a proposito del ministero Dessolles, gabinetto moderato del quale facevan parte i signori Decanzes e Deserre, si diceva:
Per rafforzare il trono, a vacillar esposto,
Bisogna cambiar suolo e cambiar serra e posto.
Oppure vi si rimaneggiava la lista della camera dei pari, «camera abbominevolmente giacobina», e si combine su quella lista taluni accostamenti di nomi, in modo da formare, per esempio, frasi come questa: Damas Sabran, Gouvion Saint-Cyr. Il tutto allegramente.
In quell'ambiente si parodiava la rivoluzione: si aveva non so qual velleità d'aguzzare le stesse collere in senso inverso e vi si cantava un piccolo Ça ira:
Oh! L'andrà! L'andrà! L'andrà!
I buonapartisti alla lanterna!
Le canzoni sono come la ghigliottina; tagliano indifferentemente, oggi la tal testa e domani la tal altra. È solo una variante.
Nel processo Fualdès, che è di quell'epoca, 1816, si prendeva le parti di Bastide e di Jausion, perché Fualdès era «buonapartista». I liberali venivano qualificati fratelli e amici: era il massimo grado dell'ingiuria.
Come certi campanili di chiesa, il salotto della signora di T... aveva due galli. Uno era Gillenormand, l'altro il conte di Lamothe Valois, del quale tutti si dicevano all'orecchio, con una specie di considerazione: Sapete?
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