È il Lamothe del processo della collana. I partiti hanno siffatte singolari amnistie.
Aggiungiamo ancora: nella borghesia, le posizioni onorate subiscono una diminuzione se si stringono troppo facili relazioni, per cui bisogna star attenti a coloro che si ammettono in casa; nello stesso modo che v'è perdita di calore nell'avvicinarsi a chi ha freddo, diminuisce la stima nell'accostarsi alle persone sprezzate. Ma l'antico mondo aristocratico si riteneva al disopra di queste leggi, come di tutte le altre. Marigny, fratello della Pompadour, ha libero accesso in casa del principe di Soubise; sebbene sia fratello? No, perché lo è. Du Barry, padrino della Vaubernier, è benvenuto in casa del maresciallo di Richelieu. Quel mondo è l'Olimpo: Mercurio e il principe di Guéménée vi si trovano in casa propria; un ladro v'è ammesso, purché sia un dio.
Il conte di Lamothe che, nel 1815, era un vecchio di settantacinque anni, si faceva notare soltanto per il suo aspetto silenzioso e sentenzioso, la faccia angolosa e fredda, i modi perfettamente cortesi, la giubba abbottonata fino alla cravatta e le lunghe gambe sempre incrociate in un paio di calzoni lunghi e flosci, color terra di Siena: il volto era del colore dei calzoni.
Questo Lamothe era considerato in quel salotto per via della sua «celebrità» e, strano a dirsi, per via del suo nome di Valois.
Quanto a Gillenormand, la stima per lui era assolutamente di buona lega. Autorevole perché autorevole; aveva per quanto leggero e senza che ciò costasse nulla alla sua allegrezza, un modo di fare, imponente, dignitoso, onesto e borghesemente altero, al quale si aggiungeva la sua età avanzata.
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