I fiori erano la sua occupazione.
A forza di lavoro, di perseveranza, d'attenzione e di secchi d'acqua, era riuscito a creare, dopo il creatore, e aveva inventato certi tulipani e certe dalie che parevano state dimenticate dalla natura. Era ingegnoso; aveva preceduto Soulange Bodin nella formazione di piccoli risalti di terra di brughiera, per la coltivazione dei rari e preziosi arbusti dell'America e della Cina. Allo spuntar dell'alba, d'estate, era nei suoi vialuzzi con un'aria di bontà, di tristezza e dolcezza; talvolta meditabondo e immobile per ore intere, ascoltava il canto d'un uccello su un albero, il cinquettìo d'un bimbo in una casa, oppure stava collo sguardo fisso all'estremità d'uno stelo, dove era posata una goccia di rugiada, di cui il sole faceva un carbonchio. Aveva una tavola di magro e beveva più latte che vino. Un bimbo lo faceva cedere e la sua serva lo sgridava; era timido al punto di parer selvatico, usciva di rado e vedeva soltanto i poveri, che venivano a bussare alla sua finestra, ed il suo curato l'abate Mabeuf, un buon vecchio. Pure, se qualche abitante della città o qualche forestiero, il primo venuto, mossi dalla curiosità di vedere i suoi tulipani e le sue rose, venivano a suonare alla porta della sua casetta, egli apriva, sorridendo. Era il brigante della Loira.
Se taluno contemporaneamente, avesse letto le memorie militari, le biografie, il Monitore ed i bollettini della grande armata, avrebbe potuto essere colpito da un nome, che vi ricorre spessissimo, il nome di Giorgio Pontmercy.
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