Il comandante genovese voleva buttare in mare i cannoni, nascondere i soldati nel frapponte e sfuggire nell'ombra, come nave mercantile; Pontmercy fece alzare i tre colori al contropicco dell'albero di mezzana e passò fieramente sotto il fuoco delle fregate britanniche. A venti leghe più oltre, crescendo la sua audacia, assalì e catturò col suo legnetto un grande trasporto inglese, che portava truppe in Sicilia, così carico d'uomini e di cavalli, che il bastimento era stivato fino al ponte superiore. Nel 1805, faceva parte di quella divisione Malher che tolse Günzburg all'arciduca Ferdinando; a Wettingen, ricevette fra le braccia, sotto una grandine di palle, il colonnello Maupetit, ferito mortalmente alla testa del 9° dragoni. Si distinse ad Austerlitz in quella mirabile marcia a scaglioni, fatta sotto il fuoco nemico, e quando la cavalleria della guardia imperiale russa schiacciò un battaglione del 4° reggimento fanteria, Pontmercy fu di coloro che presero la rivincita e ributtarono quella guardia. L'imperatore gli diede la croce. Pontmercy vide successivamente far prigionieri Wurmser in Mantova, Melas in Alesandria, Mack in Ulma; fece parte dell'ottavo corpo della grande armata, comandato da Mortier, che s'impadronì d'Amburgo: poi passò nel reggimento di fanteria, ch'era l'antico reggimento di Fiandra. Ad Eylau, era nel cimitero dove l'eroico capitano Louis Hugo, zio dell'autore di questo libro, sostenne da solo colla sua compagnia d'ottantatrè uomini, per due ore, tutto l'impeto dell'esercito nemico, e fu uno dei tre che uscirono vivi da quel cimitero.
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