E proprio da ciò era nata la sua relazione col curato di Vernon, l'abate Mabeuf.
Il degno prete era fratello d'un fabbricante di Saint-Sulpice, il quale aveva parecchie volte notato quell'uomo che contemplava quel bimbo, la cicatrice sulla guancia e il lagrimone che gli brillava negli occhi. Quell'uomo che aveva tanto l'aspetto di un uomo e che piangeva come una donna, aveva colpito il fabbriciere e quella faccia gli era rimasta in mente; un giorno, essendosi recato a Vernon a visitare il fratello, incontrò sul ponte il colonnello Pontmercy e riconobbe l'uomo di Saint-Sulpice. Il fabbriciere ne parlò al curato, ed entrambi, con un pretesto, fecero visita al colonnello. Ne fecero poi altre; il colonnello, dapprima molto riservato, finì per aprirsi con loro, ed il curato e il fabbriciere giunsero così a conoscere tutta la storia e seppero in qual modo Pontmercy sacrificava la propria felicità all'avvenire del figlio. Il curato lo prese a venerare e ad amare e il colonnello da parte sua, pose affetto al curato. Del resto, quando per caso sono entrambi buoni e sinceri, non v'è nulla che si capisca e s'accordi meglio d'un vecchio prete e d'un vecchio soldato. In fondo, sono lo stesso uomo: l'uno s'è sacrificato per la patria, di quaggiù, l'altro per quella di lassù; non v'è altra differenza.
Due volte all'anno, il 1° gennaio e a San Giorgio, Mario scriveva al babbo lettere obbligate che gli dettava la zia e che si sarebbero dette copiate da qualche formulario. Era tutto quello che Gillenormand tollerava; e il babbo rispondeva con lettere tenerissime, che l'avo si ficcava in tasca, senza leggerle.
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