Esser ultra, significa andar oltre; significa combattere lo scettro in nome del trono e la mitria in nome dell'altare, malmenare ciò che si sorregge, dar calci ai proprî cavalli, cavillare col rogo sul grado di cottura degli eretici, rimproverare all'idolo la sua poca idolatria. Significa insultare per eccesso di rispetto, non trovare nel papa abbastanza papismo, nel re abbastanza regalità, trovar troppa luce nelle tenebre; significa esser malcontento dell'albatro, della neve, del cigno e del giglio in nome del candore, esser partigiano delle cose fino al punto di divenirne nemico, esser tanto in favore, da esser contro.
Lo spirito ultra caratterizza in modo speciale la prima fase della restaurazione.
Nella storia, nulla rassomiglia a quel quarto d'ora che incomincia nel 1814 e finisce verso il 1820, colla salita al potere del signor Villèle, l'uomo pratico della destra. Quei sei anni furono un momento straordinario, insieme fragoroso e cupo, ilare e sinistro, illuminato come dai raggi dell'aurora e nella stesso tempo tutto coperto dalle tenebre delle grandi catastrofi che riempivano ancora l'orizzonte e sprofondavan lente nel passato. Vi fu, in quella luce e in quell'ombra, tutto un piccolo mondo nuovo e vecchio, buffo e triste, giovanile e senile, che si stropicciava gli occhi, poiché nulla assomigliava al risveglio al pari del ritorno; gruppo che guardava la Francia con malumore e che la Francia guardava con ironia. Le vie eran piene di buoni vecchi gufi marchesi, di rimpatriati e di fantasmi, di ex nobili stupefatti di tutto, di bravi e nobili gentiluomini che sorridevano e piangevano ad un tempo per essere in Francia, commossi di riveder la loro patria, ma disperati di non trovar più la loro monarchia.
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