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      «Potrei parlargli?»
      La donna fece un cenno negativo.
      «Ma io sono suo figlio,» riprese Mario. «M'aspetta.»
      «Non v'aspetta più,» disse la donna.
      Allora egli s'accorse ch'ella piangeva. Gli accennò col dito la porta d'una stanza a terreno ed egli entrò.
      In quella stanza, illuminata da una candela di sego posta su un camino, v'eran tre uomini, uno dei quali in piedi, l'altro in ginocchio e l'altro disteso a terra, in tutta la sua lunghezza, sul pavimento. Colui che giaceva in terra era il colonnello. Gli altri due erano un medico e un prete, che pregava.
      Il colonnello era stato colpito da tre giorni da una febbre cerebrale. All'inizio della malattia, preso da un cattivo presentimento, aveva scritto a Gillenormand per chiedergli il figlio. La malattia era peggiorata e la sera stessa dell'arrivo di Mario a Vernon, il colonnello aveva avuto un accesso di delirio; s'era alzato dal letto, malgrado la fantesca, gridando: «Mio figlio non arriva: gli vado incontro!» poi era uscito dalla camera ed era caduto lungo disteso sui mattoni dell'anticamera. Era spirato.
      Chiamati il medico e il curato, l'uno e l'altro eran giunti troppo tardi. Anche il figlio era giunto troppo tardi.
      Al bagliore incerto della candela, si distingueva sulla gota del colonnello giacente e pallido una grossa lagrima, sgorgata dall'occhio morto. L'occhio era spento, ma la lagrima non era disseccata; quella lagrima era il ritardo di suo figlio.
      Mario osservò quell'uomo, che vedeva per la prima e anche per l'ultima volta, quel volto venerabile e maschio, quegli occhi aperti, che non guardavano, quei capelli bianchi, quelle membra robuste sulle quali si distinguevano qua e là alcune linee brune, ch'erano sciabolate, e certe stelle rosse, ch'eran fori di palle.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





Mario Gillenormand Mario Vernon