Bonaparte era diventato una specie di mostro quasi favoloso e, per dipingerlo alla fantasia del popolo che, come dicevamo testè, assomiglia a quella dei fanciulli, il partito del 1814 faceva comparire successivamente tutte le maschere spaventose, da quella terribile, pur restando grandiosa, a quella terribile e grottesca, da Tiberio all'Orco. Perciò, quando si parlava di Bonaparte, si era liberi di singhiozzare o di scoppiare in una risata, purché l'odio tenesse bordone. Mario non aveva mai avuto su quell'uomo, com'egli lo chiamava, altre idee nella mente, ed esse s'eran combinate colla tenacia della sua natura; v'era in lui un omiciattolo testardo, che odiava Napoleone.
Leggendo la storia e soprattutto studiandola nei documenti e nei materiali, il velo che copriva Napoleone agli occhi di Mario si lacerò a poco a poco. Ne intravide l'immensità e sospettò d'essersi ingannato fino a quel momento su Bonaparte, come su tutto il resto; ogni giorno vedeva meglio le cose e si mise a salire lentamente, passo passo, dapprima quasi con rammarico, poi con ebbrezza e come attratto da un fascino irresistibile, prima i gradini scuri, poi quelli vagamente rischiarati e infine i luminosi e splendidi gradini dell'entusiasmo.
Una notte, solo nella sua cameretta, posta sotto il tetto, aveva acceso la candela e stava leggendo, coi gomiti appoggiati sul tavolo, a fianco della finestra aperta. Ogni sorta di fantasticherie ispirategli dallo spazio popolavano il suo pensiero. Quale spettacolo la notte!
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