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      L'imperatore, per suo padre, era stato soltanto il capitano adorato che si ammira e al quale ci si consacra; per Mario, fu qualcosa di più. Fu il predestinato costruttore del gruppo francese, successore del gruppo romano nella dominazione dell'universo; fu il prodigioso architetto d'un crollo, il continuatore di Carlomagno, di Luigi XI, d'Enrico IV, di Richelieu, di Luigi XVI e del comitato di pubblica salvezza, che aveva certo le sue colpe, i suoi errori e magari il suo delitto, vale a dire ch'era uomo; ma augusto negli errori, brillante nelle colpe, possente nel delitto. Fu l'uomo predestinato, che aveva costretto tutte le nazioni a dire: la grande nazione. Fu ancor meglio; fu la stessa incarnazione della Francia, che conquistava l'Europa colla spada in mano, e il mondo, colla luce che emanava. Mario vide in Bonaparte lo spettro sfolgorante che s'ergeva sempre sulla frontiera e vigilerà l'avvenire; despota, ma dittatore; despota risultante d'una repubblica, che riassumeva una rivoluzione. Napoleone diventò per lui l'uomo-popolo, come Gesù è l'uomo-Dio.
      Come si vede, secondo l'abitudine di tutti i neofiti, la conversione l'inebriava ed egli aderiva ciecamente a ciò che credeva, esagerando. Così era la sua natura: una volta su un pendìo, gli era quasi impossibile frenarsi. Il fanatismo per la spada s'andava impadronendo di lui e complicava nella sua mente l'entusiasmo per l'idea; non accordava che col genio, e confusa con esso, ammirava la forza, ossia collocava nei due scomparti della sua idolatria, da un lato ciò che è divino, dall'altro ciò che è brutale.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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