Sotto parecchi aspetti, si ingannava di nuovo diversamente: ammetteva tutto. V'è modo d'incontrar l'errore, andando incontro alla verità; egli aveva una specie di buona fede violenta, che prendeva tutto in blocco. Nella nuova via in cui era entrato, quando giudicava i torti dell'antico regime, come quando misurava la gloria di Napoleone, trascurava le circostanze attenuanti.
Comunque, un passo prodigioso era fatto. Laddove un tempo aveva visto la caduta della monarchia, vedeva ora l'assunzione al trono della Francia. Il suo orientamento era cambiato e quel ch'era stato ponente era levante. S'era voltato dall'altra parte.
Tutte quelle rivoluzioni s'andavano compiendo in lui, senza che i suoi familiari ne avessero alcun sentore.
Allorché, in quel misterioso travaglio, ebbe completamente perduta la antica pelle borbonica e d'ultra, quando si fu spogliato dell'aristocratico, del giacobita e del realista, quando fu pienamente rivoluzionario, profondamente democratico e quasi repubblicano, si recò da un incisore sul lungo Senna degli Orefici e gli ordinò cento biglietti da visita colla dicitura: Barone Mario Pontmercy. Era soltanto una logicissima conseguenza del mutamento operatosi in lui, mutamento nel quale tutto gravitava intorno a suo padre. Solo, poiché non conosceva nessuno e non poteva quindi disseminare i biglietti in nessuna portineria, se li mise in tasca.
Altra conseguenza naturale, a mano a mano ch'egli si riaccostava al padre, alla memoria di lui, alle cose per le quali il colonnello aveva combattuto venticinque anni, s'andava allontanando dal nonno.
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