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«Mario! Che brutto nome! Che idea hanno avuto, di chiamarlo Mario; tu, almeno, ti chiami Teodulo.»
«Preferirei chiamarmi Alfredo,» disse l'ufficiale.
«Senti, Teodulo.»
«Son tutt'orecchi, zia.»
«Fa' attenzione.»
«Faccio attenzione.»
«Sei pronto?»
«Sì.»
«Ebbene, Mario fa parecchie assenze.»
«Eh, eh!»
«Viaggia.»
«Ah, ah!»
«Sta fuori di notte.»
«Oh, oh!»
«Noi vorremmo sapere che cosa c'è sotto.»
Teodulo rispose, colla calma d'un uomo pratico:
«Qualche gonnella.»
E con quel riso a fior di pelle, che rivela la certezza, soggiunse:
«Una ragazza.»
«È evidente!» esclamò la zia, alla quale parve di sentir parlare Gillenormand e che sentì la propria convinzione uscire irresistibilmente da quella parola ragazza, sottolineata quasi nello stesso modo dal prozio e dal pronipote. E riprese:
«Fammi un piacere; segui un po' Mario. Egli non ti conosce e la cosa ti sarà facile. Dal momento che v'è una ragazza, fa' di vederla; ci scriverai e il nonno si divertirà.»
Teodulo non aveva un'eccessiva inclinazione a questo genere di spionaggio; ma era molto commosso dai dieci luigi e credeva di vedere la possibilità d'un seguito. Accettò quindi l'incarico e disse: «Come vi piace, zia.» E soggiunse, per conto suo: «Eccomi diventato importante.»
La signorina Gillenormand lo baciò.
«Tu Teodulo, non faresti certo simili scappate! Tu ubbidisci alla discipline, sei schiavo della consegna, sei un uomo di scrupoli e di dovere e non lasceresti certo la tua famiglia per andar a vedere una cattiva femmina.»
Il lanciere fece la smorfia soddisfatta di Cartouche, lodato per la sua probità.
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