L'ingresso fu trionfale: Gillenormand teneva con una mano la finanziera, coll'altra il cordoncino nero e gridava:
«Vittoria! Stiamo per scoprire il mistero! Stiamo per saper tutto, per filo e per segno! Stiamo per toccare con mano il libertinaggio del nostro sornione! Eccoci a conoscenza del romanzo! Ho il ritratto!»
Infatti, una custodia di zigrino nero, abbastanza simile ad un medaglione, era appesa al cordone.
Il vecchio prese quella custodia e l'osservò qualche tempo senza aprirla, con quell'aria di voluttà, d'incanto e di stizza d'un povero diavolo affamato, che guardi passargli sotto il naso un meraviglioso pranzo che non è per lui.
«Poiché, certo, questo è un ritratto. Me ne intendo; è una cosa che si porta teneramente sul cuore. Che bestie sono! Qualche sciagurata baldracca, ripugnante, probabilmente! Hanno così cattivo gusto, oggi, i giovanotti!»
«Vediamo, babbo,» disse la zitella.
La custodia s'aperse, al premere d'una molla; ed essi trovarono soltanto un foglietto di carta, accuratamente ripiegato
«Dalla stessa allo stesso!» disse Gillenormand, scoppiando in una risata. «So di che si tratta: è un biglietto amoroso.
«Oh!» disse la zia. «Leggiamolo, dunque!»
E si mise gli occhiali. Spiegarono il foglio e lessero quanto segue:
«Per mio figlio. L'imperatore m'ha fatto barone sul campo di battaglia di Waterloo. Poiché la restaurazione mi contesta questo titolo, pagato col mio sangue, mio figlio lo prenderà e lo porterà. È inutile dire che ne sarà degno».
Quel che padre e figlia provarono, non si può dirlo.
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Gillenormand Gillenormand Waterloo
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