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      Era più di quanto Gillenormand potesse ascoltare. Alla parola, la repubblica, s'era alzato o, meglio, s'era rizzato in piedi: ognuna delle parole che Mario aveva pronunciate aveva fatto sul viso del vecchio realista l'effetto delle buffate d'un mantice da fucina sopra un tizzone ardente. Da scuro era divenuto rosso, da rosso a purpureo, da purpureo, fiammeggiante.
      «Mario!» esclamò. «Ragazzo infame! Io non so che cosa fosse tuo padre! E non voglio saperlo! Non ne so nulla, non lo so! Ma quello che so, è che c'erano soltanto dei miserabili, fra quegli individui! So che eran tutti pezzenti, assassini, rivoluzionari, ladri! Dico tutti! Dico tutti! Non conosco nessuno! Dico tutti! Mi capisci, Mario? Vedi? Tu sei barone come le mie ciabatte! Eran tutti banditi che han servito Robespierre, tutti briganti che han servito Bo-na-par-te! Tutti traditori che hanno tradito, tradito, tradito! il loro re legittimo! Tutti vigliacchi che sono scappati davanti ai prussiani, e agli inglesi, a Waterloo! Ecco quel che so! se il vostro signor padre è fra essi, l'ignoro; me ne spiace, tanto peggio, e servitor vostro!»
      A sua volta, Mario s'era fatto di brace e Gillenormand era il mantice. Mario tremava tutto, non sapeva che cosa stesse per succedere in lui, e la testa gli ardeva. Era il prete che vede gettar al vento tutte le sue ostie, il fachiro che vede un passante sputare sul suo idolo. Non poteva darsi che cose simili potessero impunemente esser dette alla sua presenza; ma che fare? Suo padre era stato messo sotto i piedi e calpestato al suo cospetto; ma da chi?


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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