A fianco d'Enjolras, che rappresentava la logica della rivoluzione, Combeferre ne rappresentava la filosofia. Fra la logica della rivoluzione e la sua filosofia, v'è la differenza che la logica può concludere colla guerra, mentre la filosofia può solo far capo alla pace. Combeferre completava e rettificava Enjolras; era meno alto e più largo. Voleva per le menti principî svolti in concetti generici e diceva: «Rivoluzione, ma civiltà.» Intorno alla montagna a picco, apriva il grande orizzonte celeste. Da ciò, in tutte le vedute di Combeferre, qualche cosa d'accessibile e praticabile; la rivoluzione, con Combeferre, era più respirabile che con Enjolras. Enjolras ne esprimeva il diritto divino, Combeferre il diritto naturale; il primo si congiungeva con Robespierre, il secondo confinava con Condorcet. Combeferre viveva più di Enjolras la vita di tutti. Se fosse stato concesso a quei due giovani di giungere fino alla storia, l'uno sarebbe stato il giusto, l'altro il saggio; Enjolras era più virile, Combeferre più umano: Homo e Vir, era per l'appunto la loro sfumatura. Combeferre era dolce come Enjolras era severo, per candore naturale; amava la parola cittadino, ma preferiva la parola uomo ed avrebbe volentieri detto Hombre, come gli spagnuoli. Leggeva qualunque cosa, andava a teatro, seguiva i corsi pubblici di lezioni, imparava da Arago la polarizzazione della luce, s'appassionava per una lezione nella quale Geoffroy Saint-Hilaire aveva spiegato la doppia funzione dell'arteria carotide esterna e dell'arteria carotide interna, l'una che dà vita al volto, l'altra, al cervello; stava al corrente e seguiva la scienza passo passo, confrontava Saint-Simon con Fourier, decifrava i geroglifici, faceva in pezzi i ciottoli che trovava, per discorrere di geologia, disegnava a memoria un bombice, segnalava gli errori di francese nel dizionario dell'Accademia, studiava Puységur e Deleuze, non affermava nulla, neppure i miracoli e non negava nulla, neppure i fantasmi, sfogliava la collezione del Monitore e sognava.