Aveva dottrina e spirito, ma faceva fiasco; tutto gli veniva meno, tutto l'ingannava e quel ch'edificava gli crollava addosso. Se spaccava legna, si tagliava un dito; se aveva una amante, scopriva subito di avere anche un amico. Ad ogni momento gli capitava qualche guaio; da ciò la sua allegria. Diceva: Io abito sotto il tetto delle tegole che cadono. Poco stupito, poiché in lui l'accidente era previsto, prendeva con serenità la cattiva sorte e sorrideva delle beffe del destino, come chi capisca lo scherzo. Era povero, ma il suo borsellino di buon umore era inesauribile; presto al suo ultimo soldo, non arrivava mai all'ultima risata. Quando l'avversità gli entrava in casa, salutava cordialmente quella vecchia conoscenza; in confidenza con le catastrofi, era tanto familiare colla Fatalità, che la chiamava col nomignolo: «Buon dì, Disdettuccia,» le diceva.
Codeste persecuzioni della sorte l'avevan reso ingegnoso. Era ricco di espedienti; non aveva denari, ma trovava il modo di fare, quando gli talentava, «spese pazze». Una notte, giunse perfino a mangiare «cento franchi», in una cena con una sgualdrinella, la qual cosa gli ispirò, nel mezzo dell'orgia, questa frase memorabile: Ragazza da cinque luigi, cavami gli stivali.
Bossuet si dirigeva lentamente verso la carriera d'avvocato e studiava diritto, alla maniera di Bahorel. Non aveva una gran casa, e talvolta non ne aveva affatto; abitava ora dall'uno ora dall'altro, più spesso da Joly, che studiava medicina ed aveva due anni meno di lui.
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