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II • ORAZIONE FUNEBRE DI BLONDEAU, DETTA DA BOSSUETUn pomeriggio, che aveva, come si vedrà, qualche coincidenza cogli avvenimenti raccontati in precedenza, Laigle di Meaux era appoggiato mollemente allo stipite della porta del caffè Musain. Aveva l'aria d'una cariatide in vacanza e sorreggeva soltanto la sua fantasticheria, mentre guardava piazza Saint-Michèle. Addossarsi, è un modo di coricarsi in piedi che i pensatori non sprezzano; e Laigle di Meaux pensava, senza malinconia, a una piccola disavventura che gli era capitata due giorni prima alla scuola di diritto e che modificava i suoi piani personali avvenire, piani, del resto, poco chiari.
La fantasticheria non impedisce a una carrozza di transitare, né ad un meditabondo di notarla. Laigle di Meaux, gli occhi erranti, in un indistinto vagabondaggio, scorse, in quel sonnambulismo, un veicolo a due ruote che attraversava la piazza, al passo, come indeciso. Con chi l'aveva quella carrozza? E perché andava al passo? Laigle la guardò; v'era dentro, a fianco al cocchiere, un giovane e, davanti a lui, una borsa piuttosto pesante, che mostrava ai passanti questo nome, scritto in grosse lettere nere sopra un foglio cucito alla stoffa: mario pontmercy.
Quel nome fece cambiare l'atteggiamento a Laigle; si rizzò e apostrofò il giovane della carrozza:
«Signor Mario Pontmercy!»
La carrozza interpellata si fermò e il giovane, che pareva anch'egli immerso nei suoi pensieri, alzò gli occhi.
«Eh!» disse.
«Siete il signor Mario Pontmercy?»
«Certo.
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