«La Francia non ha bisogno di nessuna Corsica, per esser grande. La Francia è grande, perché è la Francia: Quia nominor leo.»
Mario non sentì alcuna velleità d'indietreggiare. Si voltò verso Enjolras e la sua voce esplose, con una vibrazione che veniva da una commozione profonda:
«Sa Iddio, se io diminuisco la Francia! Ma non è un diminuirla l'amalgamarle Napoleone. Suvvia, parliamo un poco. Io sono un nuovo venuto, fra voi; ma vi confesso che mi stupite. A che punto siamo? Chi siamo? Chi siete? Chi sono io? Spieghiamoci a proposito dell'imperatore: io vi sento dire Buonaparte, accentuando l'u come i realisti. Ora, vi avverto che mio nonno fa ancor meglio e dice Buonapartè. Vi credevo giovani: in che cosa riponete dunque il vostro entusiasmo? E che fate di esso? Chi ammirate, se non l'imperatore? Che cosa vi occorre di più? Se non volete sapere di quel grand'uomo, quali grandi uomini potranno piacervi? Egli aveva tutto: era completo. Aveva nel cervello il cubo delle facoltà umane: faceva i codici come Giustiniano, dettava come Cesare, la sua conversazione univa il lampo di Pascal al fulmine di Tacito, faceva la storia e la scriveva; i suoi bollettini sono iliadi; combinava la cifra di Newton colla metafora di Maometto e lasciava dietro sé, in oriente, parole grandi come le piramidi. A Tilsitt, insegnava la maestà agli imperatori, all'accademia delle scienze ribatteva a Laplace, al consiglio di stato teneva testa a Merlin, dava un'anima alla geometria degli uni e al cavillo degli altri, era giurista cogli avvocati e siderale cogli astronomi.
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