Mario si rattristò. S'era appena fatta una fede: bisognava dunque respingerla già? Si disse di no, dichiarò che non voleva dubitare; ma incominciò a dubitare suo malgrado. Esser fra due religioni, da una delle quali non si è ancor usciti, mentre non si è ancor entrati nell'altra, è insopportabile. Tali crepuscoli piaccion solo alle anime pipistrello e Mario era una anima schietta, alla quale abbisognava la vera luce; le mezze luci del dubbio gli facevan male. Per grande che fosse il suo desiderio di rimanere al punto in cui era e d'attenersi a quello, era ineluttabilmente costretto a proseguire, ad avanzare, ad esaminare, a pensare, a camminare oltre. Dove l'avrebbe condotto ciò? Temeva, dopo tanti passi che l'avevan ravvicinato a suo padre, di farne ora di quelli che ne l'avrebbero allontanato; e il suo disagio veniva accresciuto quando si metteva a riflettere. Non era d'accordo nè col nonno nè cogli amici: temerario per l'uno, arretrato per gli altri, riconobbe d'essere doppiamente isolato, dalla vecchiezza e dalla gioventù. Cessò quindi di frequentare il caffè Musain.
Nel turbamento della sua coscienza, non pensava più a certi lati serî della vita. Ma le realtà della vita non si lasciano dimenticare e vennero bruscamente a dargli una gomitata.
Una mattina, il padrone dell'albergo entrò nella stanza di Mario e gli disse:
«Il signor Courfeyrac ha garantito per voi.»
«Sì.»
«Ma io avrei bisogno di denaro.»
«Pregate Courfeyrac di venir qui,» disse Mario.
Giunto Courfeyrac, l'ospite li lasciò soli e Mario raccontò all'amico quello che non aveva ancor pensato di dirgli, ch'era come solo al mondo e non aveva parenti.
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