Per giungere a questa florida situazione, Mario aveva impiegato anni interi. Anni aspri, taluni difficili da traversare, altri da superare; ma Mario non aveva vacillato un sol giorno. Aveva tutto subìto in materia di privazioni; aveva fatto di tutto, fuorché debiti. Poteva affermare di non aver mai dovuto un soldo a nessuno. Per lui, un debito era il principio d'una schiavitù ed anzi andava dicendosi che un creditore è peggio d'un padrone, poiché un padrone possiede solo la nostra persona, mentre un creditore possiede la dignità e può schiaffeggiarla. Non mangiava, piuttosto di farsi prestar denaro; ed aveva avuto molti giorni di digiuno. Siccome sentiva che gli estremi si toccano e che, se non vi si bada, l'abbassamento di fortuna può condurre a bassezze d'animo, vegliava gelosamente sulla sua fierezza. Certe formule o certi modi di fare, che, in qualunque altra condizione, gli sarebbero parsi deferenti, ora gli sembravano banali e si rinchiudeva nel suo orgoglio. Non s'arrischiava a nulla, non volendo indietreggiare; aveva in volto una specie di rossore severo ed era timido fino alla scontrosità.
In tutte le sue traversie si sentiva incoraggiato e talvolta perfino spinto da una forza segreta intima. L'anima aiuta il corpo e in certi momenti lo solleva; è il solo uccello che sostenga la sua gabbia.
A fianco del nome del padre, un altro nome era inciso nel cuore di Mario, quello di Thénardier. Natura entusiasta e grave, circondava d'una specie d'aureola l'uomo al quale, nel suo pensiero, doveva la vita del babbo, quell'intrepido sergente che aveva salvato il colonnello in mezzo alle palle da cannone e alla fucileria di Waterloo; non separava mai il ricordo di quell'uomo da quello del padre e li associava nella sua venerazione.
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