Rivedere Thénardier, rendergli un servigio e dirgli: «Voi non mi conoscete ebbene, io vi conosco! Eccomi! Disponete di me!» era il più dolce e il più magnifico sogno di Mario.
III • MARIO CRESCIUTOA quell'epoca Mario aveva vent'anni e da tre anni aveva abbandonato il nonno. D'ambo le parti eran rimasti negli stessi rapporti, senza tentare un riavvicinamento né cercare di vedersi; del resto, a che scopo vedersi? Per urtarsi? Quale dei due avrebbe avuto ragione dell'altro? Mario era di bronzo, ma Gillenormand era di ferro.
Dobbiamo dire che Mario s'era ingannato, a proposito del cuore del nonno. S'era immaginato che Gillenormand non l'avesse mai amato, che quel vecchio di poche parole, aspro e ironico, che bestemmiava, gridava, minacciava ed alzava il bastone avesse per lui tutt'al più quell'affetto leggero e severo nello stesso tempo dei Geronti da commedia; e s'ingannava. Vi sono padri che non amano i figli, non vi sono nonni che non adorino i nipoti. In fondo, come abbiam detto, Gillenormand idolatrava Mario. Lo idolatrava a modo suo, con accompagnamento di rabbuffi e magari di schiaffi; ma, quando quel fanciullo fu scomparso, sentì un gran vuoto nel cuore. Pretese che non gliene parlassero più, rammaricandosi fra sé d'esser così ben ubbidito; e nei primi tempi sperò che quel buonapartista, quel giacobino, quel terrorista, quel settembrista sarebbe ritornato. Ma passarono le settimane, i mesi, gli anni e, con grande disperazione di Gillenormand, il bevitore di sangue non ricomparve.
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