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      Mentre il vecchio lo rimpiangeva, Mario s'approvava. Come accade a tutte le persone buone, la disgrazia gli aveva tolto l'amarezza; ora pensava a Gillenormand solo con dolcezza, ma intendeva di non ricever più nulla dall'uomo ch'era stato ingiusto verso suo padre, traduzione, questa, ormai mitigata dalle sue primitive indignazioni. Inoltre, era felice d'aver sofferto e di soffrire ancora, per suo padre; la durezza della sua vita lo soddisfaceva e gli andava a genio. Si diceva con una specie di gioia che quello era proprio il meno, ch'era una espiazione, senza di che, sarebbe stato giusto che suo padre avesse avuto tutto il dolore ed egli nulla; e del resto, che cosa eran mai le sue fatiche e le sue privazioni, paragonate alla vita eroica del colonnello? Diceva che, infine, il solo modo di riaccostarsi al babbo e di rassomigliargli era quello d'essere forte contro l'indigenza, com'egli era stato coraggioso contro il nemico e che, certo, proprio quello il colonnello aveva voluto dire colla frase: ne sarà degno. Parole che Mario continuava a portare, non sul petto, dal momento che lo scritto del colonnello era scomparso, ma nel cuore.
      Eppoi, il giorno in cui il nonno l'aveva scacciato, non era che un ragazzo, mentre ora era un uomo, e lo sentiva. La miseria, insistiamo su questo punto, gli aveva giovato. La povertà nei giovani, quando riesce, ha questa magnifica prerogativa, che volge tutta la volontà verso uno sforzo e tutta l'anima verso una aspirazione; la povertà mette subito a nudo la vita materiale e la rende ripugnante, dando perciò inesprimibili slanci verso la vita ideale.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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