Finito il suo lavoro, egli ritorna alle estasi ineffabili, alle contemplazioni, alle gioie; vive coi piedi nelle afflizioni, negli ostacoli, sul lastrico, nei rovi e talvolta nel fango, colla testa nella luce. È fermo, sereno, dolce, tranquillo, attento, serio, contento del poco, benevole, e benedice Iddio d'avergli dato quelle due ricchezze che mancano a molti ricchi: il lavoro che lo fa libero e la consapevolezza di esserne degno.
Questo era accaduto a Mario, il quale aveva perfino, per dir tutto, un po' troppo esagerato nella contemplazione. Dal giorno in cui era giunto a esser sicuro di guadagnarsi da vivere, s'era fermato trovando ben fatto esser povero e togliendo quando poteva al lavoro, per darlo al pensiero; val quanto dire che passava intere giornate a pensare, immerso e sprofondato come un visionario nelle mute voluttà dell'estasi e dell'introspezione. Aveva così posto il problema della vita: lavorare il meno possibile materialmente, il più possibile del lavoro invisibile o, in altre parole, dar poche ore alla vita reale e buttare il resto nell'infinito. Non s'accorgeva che, credendo di non mancare di nulla, la contemplazione compresa in questo modo finisce per essere una forma di pigrizia; non s'accorgeva d'essersi accontentato di domare le prime necessità della vita e di riposare troppo presto.
Era evidente che, per la sua natura energica e generosa, quello non poteva esser che uno stato transitorio e, al primo urto contro le inevitabili complicazioni del destino, Mario si sarebbe svegliato.
| |
Iddio Mario Mario
|