Due tre volte al giorno venivano a suonar il suo campanello, in via Mézières, per farne acquisto; e da quella vendita ricavava ben duemila franchi all'anno, ch'erano all'incirca tutta la sua fortuna. Sebbene povero, aveva avuto l'abilità di farsi, a forza di pazienza, di privazioni e di tempo, una preziosa collezione d'esemplari rari d'ogni genere; non usciva mai senza un libro sotto il braccio e spesso rincasava con due. L'unica decorazione delle quattro camere a pianterreno che, insieme con un giardinetto, componevano la sua dimora, erano alcuni erbarî incorniciati e qualche stampa di vecchi maestri. La vista d'una sciabola o d'un fucile l'agghiacciava; in vita sua, non s'era mai avvicinato ad un cannone nemmeno agli Invalidi. Aveva uno stomaco passabile, un fratello curato, i capelli candidi, non un solo dente né in bocca né entro lo spirito, un tremito in tutto il corpo, l'accento piccardo, un riso infantile, lo sgomento facile e l'aspetto d'un vecchio montone. Oltre a ciò, aveva per sole amicizie o sola abitudine fra i vivi, un vecchio libraio di porta San Giacomo, chiamato Royol. Il suo sogno era di naturalizzare l'indaco in Francia.
Anche la sua fantesca era una varietà dell'innocenza. La povera vecchia era vergine; Sultano, il suo gattone, che avrebbe potuto miagolare il miserere d'Allegri nella cappella Sistina, le aveva riempito il cuore e bastava alla quantità di passione che era in lei. Nessuno dei suoi sogni s'era mai spinto fino all'uomo, né mai aveva potuto andare al di là del gatto, del quale anch'ella aveva i baffi.
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