Per questo fatto, attraverso l'oscurità che gli s'andava facendo intorno, e mentre le sue speranze si spegnevano l'una dopo l'altra, Mabeuf era rimasto sereno, un po' puerilmente, forse, ma profondissimamente. Le sue abitudini mentali avevano le oscillazioni d'un pendolo: una volta montato da una illusione, egli camminava a lungo, anche quando l'illusione era comparsa; poiché un orologio non si ferma di botto nell'istante preciso in cui se ne perde la chiave.
Mabeuf aveva piaceri innocenti, poco costosi e inattesi, che il più piccolo caso gli forniva. Un giorno, mamma Plutarco stava leggendo un romanzo in un cantuccio della stanza e leggeva ad alta voce, trovando che così capiva meglio; leggere ad alta voce, è come confermare a se stesso la lettura, e taluni leggono con voce altissima e hanno l'aria di darsi la parola di onor di quanto leggono. Ora, mamma Plutarco leggeva proprio con quell'energia il romanzo che teneva fra le mani e Mabeuf sentiva, senza ascoltare.
Mentre leggeva, mamma Plutarco giunse a questa frase, in cui si trattava d'un ufficiale dei dragoni e della sua bella:
«... La bella tenne il broncio, e il dragone...»
Qui s'interruppe per asciugare gli occhiali.
«Budda e il dragone,» riprese a mezza voce Mabeuf. «È vero.» V'era un dragone che dal fondo della sua caverna gettava fiamme dalle fauci e ardeva il cielo; già parecchie stelle eran state incendiate da quel mostro che, per giunta, aveva gli artigli da tigre. Budda si recò nel suo antro e riuscì a convertire il dragone.
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