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      In quello stato di fantasticheria, uno sguardo che fosse penetrato nell'interno di Mario sarebbe stato abbacinato dalla purità di quell'anima; e infatti, se fosse dato ai nostri occhi terreni di vedere nella coscienza altrui, si giudicherebbe molto più sicuramente un uomo da quel che sogna, che da quel che pensa. Nel pensiero v'é la volontà, mentre non v'é alcuna nel sogno. Il sogno, affatto spontaneo, assume e conserva, anche nel gigantesco e nell'ideale, il volto della nostra mente, e non v'é nulla che esca più direttamente e sinceramente dal fondo della nostra anima, delle nostre aspirazioni irriflessive e smisurate verso lo splendore del destino. In queste aspirazioni, molto più che nelle idee composte, ragionate e coordinate, si può ritrovare il vero carattere d'ogni uomo. Le nostre chimere sono quelle che più ci somigliano, e ciascuno sogna l'ignoto e l'impossibile secondo la propria natura.
      Verso la metà di quell'anno 1831, la vecchia che serviva Mario gli raccontò che stavan per mettere alla porta i suoi vicini, la miserabile famiglia Jondrette. Mario, che passava quasi tutti i giorni fuor di casa, sapeva appena d'aver dei vicini.
      «E perché li scacciano?» chiese.
      «Perché non pagano il fitto. Sono in arretrato di due rate.»
      «Cioè, per quanto?»
      «Venti franchi,» disse la vecchia.
      Mario aveva da parte trenta franchi in un cassetto.
      «Prendete,» disse alla vecchia, «ecco venticinque franchi. Pagate per quei poveretti, date loro cinque franchi e non dite che sono stato io.»
      VI • IL SOSTITUTO


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





Mario Mario Jondrette