Gli studenti dovevan «deliberare» su quel soggetto e non occorreva di più per irritare Gillenormand.
Egli pensò a Mario, ch'era studente, e che probabilmente sarebbe andato, come gli altri, «a deliberare in piazza del Pantheon.»
Mentre stava facendo questa considerazione penosa, entrò il luogotenente Teodulo, in borghese, prudentemente, e discretamente introdotto dalla signorina Gillenormand. Il lanciere aveva fatto questo ragionamento:
«Il vecchio druido non ha impiegato tutto il suo vitalizio; questo vale bene la spesa di travestirsi da coniglio di tanto in tanto.»
La signorina Gillenormand disse ad alta voce al babbo:
«Vostro nipote Teodulo.»
E al nipote, sottovoce:
«Approva tutto.»
E si ritirò.
Il luogotenente, poco avvezzo a incontri così venerabili, balbettò con qualche timidezza: «Buongiorno, zio,» e fece un saluto misto, composto dell'abbozzo involontario e macchinale del saluto militare, completato col saluto borghese.
«Ah, siete voi? Benissimo; sedetevi,» disse l'avo.
Ciò detto, dimenticò affatto il lanciere.
Teodulo sedette e Gillenormand s'alzò. Poi si mise a camminare in lungo e in largo, colle mani in tasca parlando ad alta voce e tormentando colle vecchie dita irritate i due orologi che aveva nei due taschini.
«Mocciosi! Si convocano sulla piazza del Pantheon! Per la mia vita! Ragazzacci che soltanto ieri erano a balia! Se premessero loro il naso, ne uscirebbe il latte! E domani, a mezzogiorno, deliberano! Dove si arriva? Dove si arriva? È chiaro che qui si va in rovina. A questo ci han condotto i descamisados!
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