Una sartina, passandogli vicino un giorno, disse: «Ecco un vedovo ben messo.» Aveva i capelli candidissimi.
La prima volta che la giovanetta che l'accompagnava venne a sedersi con lui sulla panca che pareva avessero adottata, era una specie di ragazzina di tredici o quattordici anni, magra al punto da parer quasi brutta, impacciata e insignificante, che prometteva forse d'avere gli occhi piuttosto belli; essi soli, eran sempre alzati con una sorta di spiacevole franchezza. Aveva quel modo di vestire vecchio e infantile nello stesso tempo, proprio delle collegiali di convento, ossia un abito di lana di merinos nero, tagliato senza grazia. Avevano l'aspetto di padre e figlia.
Mario osservò per due o tre giorni quell'uomo invecchiato, che non era ancora un vecchio, e quella ragazzina, che non era ancora una persona; poi non vi fece più attenzione. Essi pareva non lo vedessero nemmeno e discorrevan fra loro con aria tranquilla e indifferente. La figlia chiacchierava continuamente lieta; il vecchio parlava poco e, di tanto in tanto, fissava su lei gli occhi, pieni d'ineffabile paternità.
Mario aveva preso l'abitudine senz'accorgersene di passeggiare in quel viale e ve li ritrovava invariabilmente. Ecco come:
Mario giungeva di preferenza dall'estremità del viale opposto alla loro panca, lo percorreva in tutta la lunghezza, passava davanti ad essi, poi se ne ritornava fino all'estremità donde era venuto, per ricominciare. Faceva quella passeggiata su e giù cinque o sei volte al giorno e la ripeteva cinque o sei volte la settimana, senza che fra lui e quelle persone fosse mai scambiato un saluto.
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