Andò diritto al «suo viale» e, giunto all'estremità, scorse, sempre sulla stessa panca, la nota coppia. Solo, quando fu vicino vide che l'uomo era sempre lo stesso, ma gli parve che non fosse più la stessa la fanciulla; la persona che vedeva ora era una grande e bella creatura, con tutte le forme femminili più graziose, in quel preciso istante in cui esse si combinano ancora con le grazie più ingenue della bimba; momento fuggitivo e puro, che solo posson tradurre queste due parole: quindici anni. Erano meravigliosi capelli castani, sfumati d'oro, una fronte che sembrava di marmo, gote che sembravan foglie di rosa, un incarnato pallido, una bianchezza calda, una bocca splendida, dalla quale il sorriso usciva come una luce e la parola come una musica, una testa che Raffaello avrebbe dato a Maria, su un collo che Giovanni Goujon avrebbe dato a Venere. E, affinché nulla mancasse a quell'incantevole figura, il naso non era bello, ma solo grazioso, né dritto, né curvo, né italiano, né greco; era il naso parigino, ossia qualche cosa di spirituale, di fine, irregolare e puro, da far disperare i pittori e incantare i poeti.
Quando Mario le passò vicino, non potè vedere gli occhi, costantemente abassati, vide solo le lunghe ciglia castane, che diffondevano ombra e pudore, senza impedire alla bella fanciulla di sorridere, mentre ascoltava l'uomo dai capelli bianchi, e nulla era più incantevole di quel fresco sorriso cogli occhi bassi.
Sulle prime, Mario pensò che fosse un'altra figlia dello stesso uomo, una sorella, certo della prima; ma quando l'invariabile abitudine della passeggiata lo ricondusse per la seconda volta vicino alla panca, e l'ebbe osservata con attenzione, riconobbe ch'era proprio lei.
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