Per via, incontrò Courfeyrac e finse di non vederlo. Questi rincasando, disse agli amici: «Ho incontrato adesso adesso il cappello nuovo e la giubba nuova di Mario, con lui dentro. Andava certo a dare un esame: aveva l'aria completamente rimbecillita.»
Giunto al Lussemburgo, Mario fece il giro del laghetto, osservò i cigni, poi rimase a lungo in contemplazione davanti a una statua che aveva la testa tutta nera di muffa ed era senza un fianco. Vicino al laghetto un borghese quarantenne e panciuto teneva per mano un ragazzino di cinque anni e gli diceva: «Evita gli eccessi, figlio mio, tienti ad ugual distanza dal dispotismo e dall'anarchia.» Mario ascoltò quel borghese; poi fece ancora una volta il giro del laghetto e finalmente si diresse verso il «suo viale» lentamente, come vi andasse di malavoglia. Si sarebbe detto che fosse allo stesso tempo costretto e trattenuto dal farlo; ma non si rendeva alcun conto di tutto ciò e credeva di fare come tutti i giorni.
Quando sboccò nel viale, scorse all'altra estremità, «sul loro banco» il signor Leblanc e la giovinetta. S'abbottonò la giubba fino al collo, la tirò ben bene perché non facesse pieghe, esaminò con una certa impazienza i lucidi riflessi dei suoi calzoni e marciò verso la panca. V'era dell'assalto in quella marcia e, certo, una velleità di conquista; perciò dico: marciò sulla panca, come direi: Annibale marciò su Roma.
Del resto, in tutti i suoi gesti non v'era nulla che non fosse macchinale, ed egli non aveva interrotto le preoccupazioni consuete della sua mente e dei suoi lavori; in quel momento, andava pensando che il Manuale del Baccelliere era un libro sciocco e che bisognava che fosse diretto da cretini della più bell'acqua, perché vi si analizzassero come capolavori dello spirito umano tre tragedie di Racine e solo una commedia di Molière.
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