«Tre giorni di seguito!» esclamò.
E tentò di seguirlo; ma Mario camminava svelto e a passi giganteschi. Era un ippopotamo che tentava d'inseguire un camoscio; ella lo perdette di vista dopo due minuti e rincasò ansante, semi soffocata da un'asma furiosa: «Domando io,» brontolò «se c'è buon senso a mettere tutti i giorni i vestiti belli e a far correre la gente in questo modo!»
Mario s'era recato al Lussemburgo. La giovinetta vi si trovava col signor Leblanc, ed egli le si avvicinò più che poté, fingendo di leggere un libro; ma restò ancora molto lontano, poi tornò a sedersi sulla sua panca, dove rimase quattro ore a guardar saltellare nel viale i passerotti, che gli parve si burlassero di lui.
Trascorse in tal modo una quindicina di giorni. Mario andava al Lussemburgo, non più a passeggiare, ma per sedervisi sempre allo stesso posto senza un perché. Di lì, non si muoveva più; si metteva ogni mattina il vestito nuovo per poi non farsi vedere, e ricominciava il giorno dopo.
Lei era decisamente d'una meravigliosa bellezza. Il solo appunto che si potesse fare, quasi una critica, era il contrasto fra il suo sguardo triste, e il sorriso lieto che dava al suo viso un che di smarrito, sì che in certi momenti quel dolce viso diveniva strano, senza cessare d'esser vezzoso.
VI • FATTO PRIGIONIEROUno degli ultimi giorni della seconda settimana, Mario seduto come al solito sulla sua panca, teneva in mano un libro di cui, da due ore, non aveva voltato una pagina. Ad un tratto, trasalì. Qualcosa accadeva all'estremità del viale; il signor Leblanc e sua figlia avevano abbandonato la loro panca, la figlia aveva dato il braccio al padre ed entrambi si dirigevano lentamente verso la metà del viale, dove si trovava Mario.
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