La seguì collo sguardo fino a quando non fu scomparsa; poi si mise a camminare per il Lussemburgo, come un pazzo. È probabile che in certi momenti ridesse da solo e parlasse ad alta voce; tanto meditabondo, che tutte le balie alle quali passava vicino lo credettero innamorato di loro.
      Uscì dal Lussemburgo, sperando di ritrovarla per via. Sotto i portici dell'Odéon, s'imbatté in Courfeyrac e gli disse: «Vieni a pranzo con me.» Si recarono da Rousseau e spesero sei franchi; Mario mangiò come un lupo e regalò sei soldi al cameriere. Alla frutta, disse a Courfeyrac: «Hai letto il giornale? Che bel discorso ha fatto Audry di Puyraveau!»
      Era perdutamente innamorato.
      Dopo il pranzo, disse a Courfeyrac: «Ti offro il teatro.» Ed entrambi andarono a Porta San Martino a veder Frédérick nell'Albergo degli Adrets. Mario si divertì immensamente.
      Nello stesso tempo, sentì crescere in sé il riserbo: all'uscita dal teatro, rifiutò di guardare la giarrettiera di una modista che stava scavalcando un fossatello, e poiché Courfeyrac aveva detto: Metterei volentieri quella donna nella mia collezione, gli fece quasi orrore.
      Courfeyrac l'aveva invitato per il giorno seguente a colazione, al caffè Voltaire. Mario vi si recò e mangiò più del giorno prima; era pensieroso e molto allegro. Si sarebbe detto che cogliesse tutte le occasioni per ridere di gusto; abbracciò teneramente un provinciale che gli venne presentato. Intorno alla tavola s'era formato un circolo di studenti e vi si parlava delle sciocchezze che si sciorinano a spese dello stato dalle cattedre della Sorbona; poi la conversazione cadde sugli errori e le lacune dei dizionari e delle prosodie di Quicherat.