Dov'era quel buco? Nessuno lo sapeva. Nella più completa oscurità, coi suoi complici, egli parlava solo volgendo le spalle. Si chiamava poi Claquesous? No: egli diceva di chiamarsi Niente affatto. Se portavano una candela, si metteva la maschera. Era ventriloquo e Babet diceva di lui: Claquesous è un notturno a due voci. Egli era errante, vago e terribile. Non si era sicuri che si chiamasse Claquesous, poiché Claquesous era un soprannome; non si era sicuri che avesse una voce, poiché parlava più spesso col ventre che colla bocca; non si era sicuri se avesse un volto, dato che nessuno aveva mai visto altro che la sua maschera. Spariva come si fosse dileguato e le sue apparizioni erano uno sbucare di sotterra.
Montparnasse era un essere lugubre. Era un ragazzo: meno di venti anni, un viso grazioso, labbra che parevan ciliege, bellissimi capelli neri e negli occhi la luminosità della primavera; aveva tutti i vizi ed aspirava a tutti i delitti. La digestione del male gli dava l'appetito del peggio: era il birichino mutato in ragazzaccio e diventato assassino; era gentile, effeminato, grazioso, robusto, indolente e feroce. Portava la tesa del cappello rialzata a sinistra, per lasciar passare un ciuffo di capelli, secondo la moda del 1829. Viveva di rapina. La sua finanziera era del miglior taglio, ma consunta; Montparnasse era un figurino di mode, che viveva nella miseria e commetteva delitti; la causa di tutti i reati di quell'adolescente era la voglia d'esser ben vestito. La prima sartina che gli aveva detto: «Sei bello», gli aveva gettato in cuore la macchia delle tenebre, e aveva fatto un Caino di quell'Abele.
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