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      Cadde in una cupa tristezza. Era finita: il lavoro gli ripugnava, la passeggiata lo stancava, la solitudine l'annoiava: l'infinita natura, un tempo già piena di forme, di luci, di voci, di consigli, di prospettive, di orizzonti, d'insegnamenti, era ormai vuota davanti a lui. Gli pareva che tutto fosse scomparso.
      Pensava sempre, perché non poteva fare altrimenti; ma non si compiaceva più dei suoi pensieri e a tutto quello ch'essi gli proponevano a bassa voce, senza posa, rispondeva nell'ombra: «A che scopo?»
      Si faceva mille rimproveri: «Perché l'ho seguita? Ero tanto felice, al solo vederla! Mi guardava; non era una gran cosa, questo? Aveva l'aria d'amarmi; non era tutto? Che cosa ho voluto? Adesso, non v'è più nulla; sono stato assurdo. È colpa mia, eccetera.» Courfeyrac, al quale egli, secondo la sua natura, non confidava nulla, ma che indovinava un po' tutto, pure secondo la propria natura, aveva incominciato col fargli le sue congratulazioni per essersi innamorato, pur essendone stupefatto; poi, vedendo Mario immerso in quella malinconia, aveva finito per dirgli: «Vedo che sei stato semplicemente una bestia. Suvvia, vieni con me alla Capanna
      Una volta, fidando in un bel sole di settembre, Mario s'era lasciato trascinare al ballo di Sceaux da Courfeyrac, Bossuet e Grantaire, nella speranza, che pazzia! di ritrovarla, forse laggiù. È sottinteso che non vide colei che cercava: «Eppure qui si ritrovano per l'appunto tutte le donne perdute!» brontolava Grantaire, per conto suo.


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I miserabili
di Victor Hugo
pagine 1886

   





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