Un secondo colpo fu bussato, piano come il primo.
«Entrate,» disse Mario.
La porta s'aperse.
«Che volete, mamma Bougon?» riprese Mario, senza abbandonare cogli occhi i libri e i manoscritti sul tavolo.
Una voce che non era di mamma Bougon, rispose:
«Scusi, signore...»
Era una voce sorda, mozza, soffocata e rauca, voce di vecchio arrochito dall'acquavite e dalla zozza. Mario si voltò di scatto e vide una fanciulla.
IV • UNA ROSA NELLA MISERIAUna ragazzetta, era ritta sulla soglia dell'uscio socchiuso; il finestrino della stamberga, dal quale incominciava ad apparire la luce del giorno, era proprio in faccia alla porta e rischiarava quel volto d'una luce scialba. Era una creatura sparuta, meschina e scarna, con una camicia e una sottana sulla sua nudità tremante intirizzita; alla cintura, una funicella e un'altra per pettine, le spalle aguzze che uscivan dalla camicia, un pallore biondo e linfatico, le clavicole terree, le mani rosse, la bocca semiaperta e storta, qualche dente guasto, lo sguardo losco, sfrontato e volto in basso, le forme d'una giovinetta non sviluppata e lo sguardo d'una vecchia corrotta; cinquant'anni e quindici; uno di quegli esseri deboli e orribili, che fanno fremere coloro che non fanno piangere.
Mario s'era alzato ed osservava con una specie di stupore quell'essere quasi simile alle ombre che attraversano i sogni.
Straziante che quella fanciulla non era venuta al mondo per esser brutta. Nella sua prima infanzia, aveva perfino dovuto esser graziosa e la grazia dell'età lottava ancora contro l'orrenda vecchiezza anticipata dal vizio e dalla povertà; un resto di bellezza languiva su quel volto sedicenne; come un pallido sole muore sotto le spaventose nubi di un'alba invernale.
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Mario Bougon Mario Bougon
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