Non siamo sempre state come ora; non eravamo fatte...»
Qui si fermò, fissò la pupilla spenta su Mario e scoppiò in una risata, dicendo, con un tono che conteneva tutte le angosce, soffocate da tutti i cinismi:
«Ma!»
E si mise a canticchiare, sopra un motivo giocondo:
Ho fame, babbo:
Non v'è più pane.
Ho freddo, mamma:
Non v'è più fuoco.
Trema, Lollina,
Piangi, Ninetto.
Appena ebbe finito la strofetta, esclamò:
«Andate a teatro, qualche volta, signor Mario? Io ci vado: ho un fratellino amico degli artisti che mi dà i biglietti ogni tanto. Per esempio, non mi piacciono le panche della galleria; ci si trova a disagio, ci si sta male. Certe volte c'è gente grossolana, e che puzza.»
Poi osservò Mario, assunse un'aria strana e gli disse:
«Sapete, signor Mario, che siete proprio un bel ragazzo?»
E nello stesso tempo venne ad entrambi lo stesso pensiero, che fece sorrider lei ed arrossire lui. Ella gli si avvicinò e gli pose una mano sulla spalla.
«Voi non badate a me; ma io vi conosco, signor Mario. V'incontro qui sulla scala e poi vi vedo entrare da un tale che si chiama papà Mabeuf e abita dalle parti d'Austerlitz, certe volte, quando passeggio in quei paraggi. Vi stanno tanto bene, i capelli arruffati.»
La sua voce cercava d'esser dolce e riusciva solo ad esser bassissima; una parte delle parole si perdeva fra la laringe e le labbra, come su un clavicembalo al quale mancassero alcune note.
Mario s'era tirato indietro pian piano.
«Signorina,» disse colla sua fredda gravità, «ho qui un pacchetto che credo vostro.
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