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Questo fece ricordare a Mario per qual motivo la disgraziata era venuta da lui. Frugò nel panciotto e non trovò nulla.
La fanciulla continuava a parlare, come se non avesse più coscienza che Mario era presente.
«Certe volte, di sera, me ne vado, e magari non torno a casa. Prima d'esser qui l'inverno scorso, abitavamo sotto gli archi dei ponti e ci si stringeva l'una contro l'altra, per non gelare; la mia sorellina piangeva. Come è triste, l'acqua! Quando mi veniva l'idea d'annegarmi, dicevo: 'No, è troppo freddo'. Quando voglio, me ne vado da sola; certe volte dormo nei fossi. Sapete? Di notte, quando cammino sui grandi viali, vedo gli alberi che sembrano forche, vedo certe case nere nere, grosse come le torri di Notre-Dame e mi pare che i muri bianchi siano il fiume e dico: 'To'! Li c'è acqua!' Le stelle sono come lampioni; si direbbe che fumino e che il vento le spenga, e mi sento stordita come se avessi dei cavalli che mi soffiassero alle orecchie; sebbene sia notte, sento gli organetti di Barberia e le macchine dei filatoi, che so io? Mi pare che mi tirino i sassi e scappo senza sapere il perché. E tutto gira, tutto gira, quando non s'è mangiato, è una cosa buffa.»
E lo guardò con aria smarrita.
A forza di frugare e rivoltare le tasche, Mario aveva finito per riunire cinque franchi e sedici soldi, ch'erano in quel momento tutto quanto possedesse al mondo. «Ecco in ogni modo il pranzo per oggi,» pensò; «domani, vedremo.» Tenne i sedici soldi e diede i cinque franchi alla ragazza.
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