Nessuna tappezzeria copriva quel muro, né dalla parte dei Jondrette, né da quella di Mario: se ne vedeva a nudo la grossolana struttura. Senza quasi averne coscienza Mario esaminava quella parete; talvolta, chi medita esamina, osserva e scruta come se pensasse. Ad un tratto s'alzò: aveva notato in quell'istante, in alto, vicino al soffitto, un foro triangolare, risultante da tre correntini che lasciavan fra loro un vano. Il calcinaccio mancava e, salendo sul cassettone, si poteva attraverso quell'apertura vedere nella stamberga dei Jondrette. La commiserazione ha, deve avere la sua parte di curiosità; quel foro formava una specie di spia ed è permesso guardare a tradimento la disgrazia, per soccorrerla.
«Vediamo un po' che gente sono,» pensò Mario «e in che stato si trovano».
Diede la scalata al cassettone, avvicinò l'occhio alla crepa e guardò.
VI • L'UOMO FEROCE NEL SUO COVOLe città hanno, al pari delle foreste, i loro antri, in cui si nasconde tutto ciò che in esse è più malvagio e temibile. Solo, quel che si nasconde nelle città è feroce, immondo e piccolo, ossia brutto; mentre nelle foreste è feroce, selvaggio e grande, cioè bello. Riparo per riparo, quelli delle bestie sono preferibili a quelli dell'uomo e le caverne valgon più delle stamberghe.
Quel che Mario vedeva era una stamberga.
Egli era povero e la sua stanza indigente; ma, come la sua povertà era pulita, così era il suo solaio. Lo stambugio in cui il suo sguardo si ficcava in quel momento era abbietto, sudicio, fetido, infetto, cupo e sordido; per solo mobilio una sedia impagliata, una tavola zoppa, diversi cocci e, in due angoli, due lettucci indescrivibili; sola luce una finestra d'abbaino a quattro vetri, tappezzata di ragnatele.
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