Entrava da quel finestrino tanto di luce perché una faccia umana sembrasse un fantasma. I muri sordidi erano coperti di crepe e cicatrici, come un viso sfigurato da qualche orribile malattia, e da essi filtrava una crassa umidità; vi si distinguevano disegni osceni, grossolanamente tracciati col carbone.
La camera occupata da Mario aveva un pavimento di mattoni tutto sconnesso; quell'altra non era né ammattonata né tavolata, si camminava direttamente sull'antico palco di gesso della catapecchia, divenuto nero sotto i piedi. Su quel suolo ineguale, dove la polvere era come incrostata e vergine solo di scopa, s'aggruppavano capricciosamente costellazioni di vecchi zoccoli, ciabatte e orribili cenci. Del resto, quella camera aveva un camino, motivo per cui veniva affittata quaranta franchi all'anno; in quel camino v'era un po' di tutto, uno scaldino, una pentola, qualche tavola rotta, qualche sbrindolo appeso a un chiodo, una gabbia d'uccelli, un po' di cenere e perfino del fuoco. Due tizzoni fumavano tristemente.
Ciò che accresceva ancora l'orrore di quella stamberga era l'ampiezza; aveva sporgenze ed angoli e buchi neri, soppalchi, baie e promontorî. D'onde spaventevoli angoli inesplorati, in cui pareva dovessero rannicchiarsi ragni grossi come il pugno, millepiedi lunghi come un piede, e, forse, perfino qualche mostruoso essere umano.
Uno dei lettucci era vicino alla porta, l'altro, alla finestra. Entrambi arrivavano con un'estremità al camino ed eran collocati dirimpetto a Mario.
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Mario Mario
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