In un angolo vicino all'apertura dalla quale Mario guardava, stava appesa al muro, in una cornice di legno nero, una stampa colorata, in calce alla quale era scritto in grandi lettere: il sogno. Rappresentava una donna e un bimbo addormentati, il secondo sulle ginocchia della prima, e una aquila entro una nube, con una corona nel becco; la donna, senza svegliarsi, allontanava la corona dal capo del figlio, e, in fondo, in un nembo di gloria, Napoleone si appoggiava sopra una colonna azzurra col capitello giallo, adorno di questa iscrizione:
maringoausterlits
ienawagramme
elot
Sotto quella cornice, una specie di tavola di legno, pił lunga che larga, posata in terra poggiava a piano inclinato contro il muro; aveva l'aria d'un quadro voltato dall'altra parte, d'un telaio, probabilmente impiastricciato dall'altra parte, di qualche specchio staccato dal muro e dimenticato in attesa d'esser riappeso.
Vicino alla tavola, sulla quale Mario scorgeva una penna, carta e inchiostro, stava seduto un uomo di circa sessant'anni, piccolo, magro, livido, torvo, l'aria furba, crudele e inquieta: un lurido furfante. Se Lavater avesse esaminato quel viso v'avrebbe trovato un avvoltoio in veste di procuratore: l'uccello da preda e l'uomo di cavillo si imbruttivano e completavano vicendevolmente, il cavillatore rendendo ignobile l'uccello da preda, che a sua volta lo rendeva orribile.
Quell'uomo, la barba grigia, vestito con una camicia da donna lasciava vedere il petto villoso e le braccia nude, irte di peli grigi; sotto quella camicia si vedevano spuntare un paio di calzoni infangati e le scarpe, dalle quali uscivan le punte dei piedi.
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Mario Napoleone Mario Lavater
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