Fumava la pipa. Non v'era più pane nello stambugio, ma v'era ancora tabacco. Stava scrivendo, probabilmente, una lettera come quelle che Mario aveva letto.
In un angolo della tavola si scorgeva un vecchio volume rossastro, spaiato, il formato del quale, l'antico in-12 dei gabinetti di lettura, rivelava un romanzo. Sulla copertina faceva pompa di sé questo titolo, in grandi lettere maiuscole: dio, il re, l'onore e le dame, di ducray-duminil, 1814.
Mentre scriveva, l'uomo parlava ad alta voce; e Mario sentì queste parole:
«E dire che non c'è l'uguaglianza, nemmeno, quando si è morti! Guardate un po' il 'Père-Lachaise!' I grandi, quelli che son ricchi, sono in alto, nel viale delle acace, lastricato, perché vi possono giungere in carrozza; i piccoli, i poveretti, i disgraziati, che so io! li mettono giù, dove c'è il fango fino ai ginocchi, nei buchi, nell'oscurità. E li metton lì perché si guastino più presto! Non si può andare a vederli, senza sprofondare nel terreno.»
Qui si fermò, battè il pugno sulla tavola e soggiunse, digrignando i denti:
«Oh! Io mangerei il mondo!»
Un donnone, che poteva aver quarant'anni come cento, stava rannicchiata presso il camino, sulle calcagna nude. Vestiva ella pure una camicia e una sottana di maglia di lana, rapezzata con ritagli di vecchia stoffa, un grembiule di tela grossolana le nascondeva metà gonna. Sebbene piegata e raccolta su se stessa, si vedeva ch'era d'altissima statura: una specie di gigante, in confronto del marito. Aveva orribili capelli di un biondo rosso ingrigito, che andava di tanto in tanto arruffando colle manacce lustre, dalle unghie piatte.
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Mario Mario Père-Lachaise
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