Un uomo d'alta statura, in piedi, dietro un tramezzo divisorio, era appoggiato ad una stufa, sollevando colle mani le falde d'un grande pastrano a tre baveri; aveva la faccia quadra, la bocca sottile e risoluta, i favoriti grigi e folti, incolti e uno sguardo tale da vuotare le tasche, poiché si sarebbe potuto dire che quello sguardo non penetrava, ma frugava addirittura.
Non aveva l'aria molto meno feroce, né molto meno temibile di Jondrette. Talvolta, non è meno inquietante imbattersi nell'alano che nel lupo.
«Che volete?» disse a Mario, senza aggiungere signore.
«Il signor commissario di polizia?»
«È assente. Lo sostituisco io.»
«È per una faccenda segretissima.»
«Parlate.»
«E assai urgente.»
«Parlate presto, allora.»
Quell'uomo, calmo e brusco, era ad un tempo sconcertante e rassicurante; ispirava timore e fiducia. E Mario gli raccontò l'avventura: come una persona ch'egli conosceva solo di vista dovesse essere attirata quella stessa sera in un agguato; come, abitando nella camera attigua a quella spelonca egli, Mario Pontmercy, avvocato, avesse inteso tutto il complotto attraverso la parete; come lo scellerato che aveva immaginato il tranello si chiamasse Jondrette; come avrebbe avuto dei complici, probabilmente vagabondi delle barriere, fra i quali un certo Panchaud, detto Primaverile, detto Bigrenaille; come le figlie di Jondrette avrebbero fatto da palo; come non esistesse alcun mezzo d'avvertire l'uomo minacciato, dato che non si sapeva neppure il suo nome; come, infine, tutto ciò dovesse svolgersi alle sei di sera nel punto più deserto del viale dell'Ospedale, nella casa numero 50-52.
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