A quel numero, l'ispettore alzò il capo e disse freddamente:
«È dunque nella camera in fondo al corridoio?»
«Precisamente,» fece Mario, che aggiunse: «Conoscete forse la casa?»
L'ispettore rimase un momento silenzioso; poi rispose, scaldando il tacco d'uno stivale allo sportello della stufa:
«Pare.»
E continuò fra i denti, parlando meno a Mario che a se stesso:
«Dev'esserci dentro un po' di Patron Minette, in questa cosa.»
Quella frase colpì Mario.
«Patron Minette,» diss'egli. «Ho sentito infatti pronunciare queste parole.»
E raccontò all'ispettore il dialogo fra l'uomo chiomato e il barbuto nella neve, dietro il muro della via Petit Banquier.
L'ispettore brontolò:
«Il chiomato dev'essere Brujon, e il barbuto Mezzo Quattrino, detto Due Miliardi.»
Aveva nuovamente abbassato le palpebre e meditava.
«Quanto al papà Coso, mi par di vederlo. Ecco che ho bruciato il pastrano: accendono sempre troppo il fuoco, in queste maledette stufe. Numero 50-52; antica proprietà Gorbeau.»
Poi guardò Mario.
«Avete visto soltanto quel barbuto e quel capelluto?»
«E Panchaud.»
«Non avete visto gironzolare in quei paraggi una specie di zerbinottino del diavolo?»
«No.»
«Né un grande e grosso, massiccio e gigantesco, che somiglia all'elefante del Giardino Zoologico?»
«No.»
«Né un furbacchione che ha l'aria d'un ex-pagliaccio?»
«No.»
«Quanto al quarto, nessuno lo vede, neppure i suoi aiutanti commessi e impiegati; c'è dunque poco da sorprendersi che non l'abbiate scorto.»
«No; ma chi sono,» chiese Mario «tutti quegli individui?
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